3 Novembre 2015
La tragica, prematura scomparsa di James Horner, iniziale destinatario della partitura per il quarto film hollywoodiano di Gabriele Muccino, ha favorito il ritrovarsi del regista con il suo musicista di elezione, tra i non pochi meriti del quale va annoverato quello di saper stemperare il buonismo a volte stucchevole del regista in una raffinata vena lirica, circonfusa di sobria mestizia e immersa in climi sonori rarefatti e sommessi. Anche in questo caso, emergendo sull’abituale patchwork canoro caro al regista (che include qui Michael Bolton, Jovanotti e Richard Clayderman), il compositore catanese s’impone per la pacatezza dell’eloquio melodico e la composta tenerezza delle invenzioni timbriche, affidate spesso a un pianoforte, una fila di archi, parchissimi effetti elettronici programmati dallo stesso Buonvino: il tutto avvolto in un’atmosfera a volte misteriosa, sospesa, come dimostra ad esempio in apertura “Blackout”, col suo tema acuto e vitreo degli archi in flautando su un pedale basso di sol.
Un’ispirazione pudicamente neoclassica, mozartiana, attraversa questo score nelle sue componenti più spiccatamente leitmotiviche, come in “Father and daughter”, con il pianoforte di Carlo Guaitoli e il clarinetto di Simone Salza a dialogare sottovoce sullo staccato degli archi; il connubio piano-archi prosegue poi in “Something changing”, su lunghi accordi dei secondi a sostenere divagazioni appena accennate del primo, quasi che la melodia stentasse, esitasse a farsi largo fra le pieghe dei sentimenti. Di nuovo il tema “mozartiano”, di una mossa e rasserenata eleganza, fa la propria comparsa in “Father and daughter (Version 2)”, in un’attenzione alla forma neoclassica che per Buonvino è con tutta evidenza una questione di stile. Momenti meditativi e di struggente malinconia si alternano continuamente ad altri più sorridenti e lievi; ai primi appartiene senz’altro “Jake’s seizure”, dove su un nuovo pedale di archi il pianoforte insinua un secondo, triste tema dall’andatura oscillante. Climax ancor più riconoscibile in “The betrayal”, brano di struttura cantilenante, basato su una triade discendente esposta dai violini col contrappunto dei celli, in una cellula ritmica dal sapore vagamente funebre. Ma attraversato anche dal ritorno del tema di “Blackout”. Fasi più sorridenti e rilassate appaiono invece nella ballata “At school”, per le chitarre di Alessandro Chimienti, mentre un moto perpetuo di duine degli archi, agitato e in crescendo, introduce in”Never give up” a una rapida melodia dei violini su scala discendente, precedendo “Another seizure”, che prende la forma franca di un adagio luttuoso per archi su cui il pianoforte accenna interventi in lieve dissonanza, creando un senso di disagio tanto trattenuto quanto penetrante, a dimostrazione che per il compositore alzare la voce non serve a nulla, quando si possono ottenere effetti ben più drammatici e intensi con un semplice sussurro.
E di una partitura sussurrante si può qui legittimamente parlare, anche grazie a un’orchestrazione di rara sapienza cameristica (la firma lo stesso Buonvino, che si riconferma anche direttore di grande sensibilità sul podio della Roma Sinfonietta) e ad alcuni interventi solistici particolarmente toccanti, come il violoncello di Luca Pincini in “From night to dream”, di asciutta quanto incontenibile malinconia. Progressivamente, Buonvino sembra spegnere sempre più le sonorità, senza peraltro rinunciare a soluzioni molto personali, come il pizzicato ritmico del cello in “Nowhere”, che sostiene il percorso declinante del piano basato sempre sulla cellula melodica iniziale: ripresa, non a caso, da un supplicante clarinetto in “Goodbye dad” poco prima che in “Writing as a maniac” e (più ironicamente) in “Losing it” rifaccia capolino l’ombra di Mozart. Ecco però un nuovo, denso adagio per archi in “Father and daughter (soft version”), nel quale Buonvino sfodera tutta la propria abilità contrappuntistica; grazie alla quale alla fine le due diverse componenti, quella più triste e quella più svagata, sembrano cercare una fusione (“That’s my girl”) ricapitolando materiali pregressi secondo nuovi accostamenti e intelligenti procedure variative (“I want to stay with you version 2″). Queste ultime si basano soprattutto su interventi nell’orchestrazione e rielaborazioni tematiche, ferme restando alcune soluzioni base dello score, come i ricorrenti pedali di bassi e i violini in registro acuto (“The betrayal version 2″): ancora clarinetto e pianoforte, dunque, più timidi che mai, in “Old memories”, su lunghi accordi degli archi, prima del riepilogo conclusivo – all’insegna del tema d’incipit – in “Never give up version 2″.
Una grande lezione di stile, dunque, quella di Buonvino, tanto più notevole in quanto impartita sullo sdrucciolevole terreno dei buoni sentimenti: dove spesso anche i migliori talenti musicali incespicano rovinosamente.
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